Tra il 1860 e il 1870 a Milano, un gruppo di scrittori e di artisti, unanimi nella volontà di
difendere l’autonomia dell’arte, di
richiamarla a un più intimo contatto con la vita, a una più essenziale sincerità di ispirazione e a una più spontanea immediatezza d’espressione, diede
vita al movimento letterario della Scapigliatura.
Sotto un certo aspetto la Scapigliatura può essere considerato anche come un fenomeno politico e morale: fu un tentativo di agitare le acque della vita italiana, una reazione contro lo spirito borghese pratico e utilitario, contro la povertà e la grettezza spirituale in cui si spegnevano gli eroici bagliori del Risorgimento.
Gli scapigliati si scagliarono contro il Romanticismo italiano, che consideravano languido ed esteriore, e contro il provincialismo della cultura risorgimentale, guardarono in modo diverso la realtà, cercando di individuare il nesso sottile che legava quella fisica e quella psichica.
La Scapigliatura, che non fu mai una scuola o un movimento organizzato, ebbe il merito di far emergere per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società, tipico del Romanticismo europeo: il processo di modernizzazione post-unitario aveva spinto gli intellettuali italiani, soprattutto quelli di stampo umanista, ai margini della società e fu così che tra gli scapigliati si diffuse un sentimento di ribellione e di disprezzo radicale nei confronti delle norme morali e delle convinzioni correnti che ebbe però come conseguenza di creare il mito della vita dissoluta e irregolare.
Di fronte agli aspetti della modernità, il progresso economico, quello scientifico e tecnico, gli scapigliati assunsero un atteggiamento ambivalente: da un lato il loro impulso originario fu di repulsione e orrore, come è proprio dell’artista, che si aggrappa a quei valori del passato, la bellezza, l’arte, la natura, l’autenticità del sentimento, che il progresso va distruggendo;
dall’altro lato, rendendosi conto che quegli ideali erano ormai perduti, essi si rassegnarono, delusi e disincantati, a rappresentare il “vero”, gli aspetti della realtà presente e ad accettare
la scienza positiva che li metteva in luce.
Negli scapigliati si formò una sorta di coscienza dualistica che sottolineava lo stridente contrasto tra “l’ideale” che si sarebbe voluto raggiungere e il “vero”, la cruda realtà, descritta in modo oggettivo e anatomico.
Padre del gruppo degli scapigliati è considerato il milanese Giuseppe Rovani, romanziere, giornalista, critico e personaggio di singolarissimo spicco nella Milano degli anni Cinquanta e Sessanta; ne fecero parte inoltre Ugo Tarchetti, Emilio Praga, Arrigo Boito, Giovanni Camerana, Carlo Pisani Dossi, Salvatore Farina, Antonio Ghislanzoni e Cletto Arrighi, a cui si deve il termine “scapigliatura”.
Nel campo delle arti figurative, la Scapigliatura, in quanto evoluzione di forme pittoriche, risultò dall’incontro del lirismo chiaroscurale del Piccio col colorismo di Federico Faruffini.
Dalla ribellione al manierismo accademico, dal Romanticismo che si sforzava di liberarsi dalle suggestioni della storia e del costume per aderire alla vita contemporanea, nacque l’arte di Giuseppe Grandi, di Tranquillo Cremona, di Daniele Ranzoni: quel tipico impressionismo lombardo facile e sensualistico, al quale appartengono anche Luigi Conconi, Leonardo Bazzaro, Cesare Tallone, il primo Previati ed Emilio Gola.
La Scapigliatura è un’esperienza artistica cui non sarà da considerarsi estraneo il Divisionismo, erede per l’appunto del suo bagaglio sentimentale e tecnico.
