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Nato in una famiglia di origini ebraiche, compì gli studi superiori al Liceo classico e in seguito si formò insieme a Faruffini alla Civica scuola di pittura di Pavia diretta da Giacomo Trécourt che, amico del Piccio, gli fu tramite di contatto con la sua espressione romantica densa di dissolvenze e sensibile alle variazioni luministiche.


Nel 1852, trasferitosi a Venezia, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, dove ebbe modo di studiare da vicino gli illustri esempi della pittura veneta soprattutto del Quattrocento e del Cinquecento, privilegiando in particolare il tardo Tiziano. Abbandonata la città lagunare nel 1859 al fine di evitare la leva austriaca, riparò in Lomellina e, dopo pochi mesi, si trasferì definitivamente a Milano, allievo a Brera del Bertini e dell’Hayez.


La sommatoria del complesso e variato iter di studi si risolvette, nella sua prima produzione ritrattistica e di soggetti storico-romantici, in linguaggio già caratterizzato dalle accentuazioni del chiaroscuro e di un colore modulato, innestato su tematiche di vaga affinità hayeziana. Costretto, a causa delle ristrettezze economiche, ad una cospicua attività nel settore dell’illustrazione, dal 1863 mutò registro, non appena prese a frequentare il cenacolo scapigliato (il pittore Ranzoni, lo scultore Grandi, gli scrittori Praga, Rovani, Righetti e il musicista Boito), specie nella pregevole produzione ritrattistica, che si articola su cromatismi morbidi e sfumati. Ma l’approdo alla definitiva maturità dello stile, alla cui elaborazione concorse il determinante confronto con l’amico Ranzoni, spesso suo compagno di cavalletto, data al 1870, con la piena integrazione nel gruppo scapigliato di cui costituirà la figura di maggior spicco: colore rotto, fluido, emozionale, leggerezza di tocco che conducono le forme al limite dell’evanescenza, immerse in atmosfere soffuse e indeterminate; con grandissima abilità tecnica Cremona si esibiva in delicati giochi chiaroscurali, accostando con disinvoltura macchie di colore puro, sfregato spesso a secco sulla tela. Risultato dell’operazione sono chiazze di colore difficilmente leggibili da vicino, ma che da lontano costituiscono un insieme armonioso di toni sapientemente sfumati, paragonabili alle note di una composizione musicale. Era senza dubbio un tentativo di realizzare, attraverso l’esaltazione delle qualità musicali della pittura, la poetica scapigliata dell’unità delle arti. Guadagnatosi, per i ritratti degli anni Settanta, buona notorietà, nel 1878 fu chiamato a dirigere la Scuola d’Arte di Pavia, dove aveva iniziato, quasi bambino, gli studi; ma una mortale intossicazione gli precluse una significativa attività didattica.

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